Scuola aperta e comunità educante

Insieme a quella ecologica, serve una transizione educativa, che abbia al centro la scuola delle opportunità. Una scuola che insegni ad imparare, più che delle singole discipline, connessa con tutte le realtà del territorio che abbiano a cuore il futuro dell’umanità.

Al centro della comunità educante c’è una scuola aperta al territorio, che sappia offrire opportunità e non solo competenze e conoscenze. Che aiuti ragazzi e ragazze ad uscire dalla ferocia della percezione di mancanza di senso, che abbia il fine di insegnare ad imparare, inserita in una rete di collegamento e co-azione con tutte le realtà del territorio che abbiano a cuore il futuro dell’umanità.

Questo è quanto emerso dall’incontro di EDUCA di questa mattina su ‘Scuola aperta e comunità educante’, coordinato dalla vicepresidente di Consolida Francesca Gennai.

L’incertezza e la rapidità che caratterizzano il mondo moderno rendono necessario un cambio di paradigma educativo. Lo ha detto Francesco Profumo, presidente della Fondazione Bruno Kessler, che ha sottolineato come i modelli educativi attuali siano figli di un approccio ad una realtà in lenta evoluzione, dove si formavano competenze e si offrivano conoscenze per poter operare nel mondo nei successivi quarant’anni. “Oggi la scuola deve soprattutto insegnare ad imparare – ha detto l’ex ministro all’Istruzione – altrimenti le persone per stare al passo nel lavoro dovranno formarsi 6-7 volte nella vita ed è molto faticoso. Per questo deve cambiare anche il lavoro dell’insegnante, che non può più essere solo portatore di conoscenze e competenze, ma deve diventare un ottimo ricercatore, per insegnare a far fronte alle situazioni che cambiano in tempi molto rapidi. Avremo bisogno di dire che per questo Paese la prima priorità è l’educazione, quella che guarda lontano e che sa integrare reti diverse. Reti che per la loro complessità non possono essere guidate in modo verticistico, ma integrato, da una governance complessiva e complessa. Altrimenti perderemo l’occasione di formare in modo adeguato le nuove generazioni alla vita che dovranno affrontare”.

Un approccio di senso che aiuterebbe ragazzi e ragazze ad uscire dalla perpetua insoddisfazione con cui devono fare i conti. “La vediamo ogni mattina sulle loro facce – ha testimoniato Angelo Lucio Rossi, dirigente dell’ICS Ada Merini di Milano – la guerra che stanno vivendo per capire loro stessi, il senso della loro vita, ciò che gli piace. Vediamo la ferocia dell’insignificanza e dell’insensatezza, come un vento leggero a cui ci si abitua. Che fare di fronte a questo? Un’analisi del buio? No, dobbiamo far emergere quella tenerezza, quella compassione che proviamo da adulti a lavorare con loro e trasformarla in azione. Aprirci e creare alleanze col territorio, metterci in prima linea con umiltà”. 

Il progetto portato avanti dall’ICS Ada Merini, raccontato dalla coordinatrice delle scuole aperte Rossella Viaconzi, parte nel 2014 con un’azione di coinvolgimento del territorio (dalla banda alle associazioni sportive, dal volontariato alle famiglie riunite in un’associazione) per costruire una comunità educante che includesse tutti, anche i ragazzi più fragili, più arrabbiati, più difficili.

A fissare i tre pilastri fondativi che dovrebbe assumere la scuola all’interno di una comunità educante ci ha pensato Giuseppe Ellerani, professore dell’Università del Salento: la scuola dovrà essere democratica, aperta e orientata sui talenti. “Se desideriamo formare persone creative, inventive, che sappiano risolvere i problemi della complessità dell’oggi – ha spiegato il docente –serve una scuola che non abbia come fine le competenze, ma il pieno sviluppo umano delle persone. Una scuola delle opportunità, dove la competenza si acquisisca nei processi di apprendimento e dove la valutazione non sia di tipo numerico ma descrittivo, perché anch’essa portatrice di apprendimento”.

In questa visione i territori hanno un ruolo importante, perché possono essere co-partecipi e co-costruttori della nuova idea di educazione, in quanto portatori di esperienze e di cultura. “La scuola può diventare il luogo degli ecosistemi formativi – ha aggiunto Ellerani –, dove tutti gli attori coinvolti siano artefici di invenzione e sappiano aiutarsi a vicenda. Essere reti nelle reti. Anche l’educazione è una grande rete di reti, un’opportunità e va progettata nuovamente. Serve una transizione educativa che ha bisogno di risorse umane ancor prima che strumentali”.

In quest’ottica la ricerca assume un ruolo fondamentale. Elisa Bortolamedi, esperta in comunità educanti della Fondazione de Marchi e di Appm, ha raccontato gli esiti dello studio che prende in esame la comunità di Pergine, dal quale emerge come il concetto di comunità educante non abbia ancora raggiunto la consapevolezza piena delle persone e dove il 95% degli intervistati (studenti, genitori, insegnanti e territorio) abbia comunque individuato la scuola come fulcro di questo nuovo modello educativo, seguita da famiglie e associazioni culturali. “Forse l’azione migliorativa principale che possiamo avanzare è quella che preveda un referente territoriale – ha suggerito Bortolamedi – che sia bussola per la scuola quando decide di entrare nel territorio. Per andare verso una comunità educante servono persone che se ne prendano cura”.

Le buone pratiche

Dopo la riflessione teorica, EDUCA ha acceso i riflettori su alcune esperienze pratiche, frutto di co-progettazioni territoriali positive, come quella che in Trentino riguarda le Acs (Associazioni cooperative scolastiche), presentata da Arianna Giuliani dell’ufficio formazione e cultura cooperativa della Federazione Trentina della Cooperazione. Le Acs sono uno strumento molto diffuso provincia di Trento con due obiettivi educativi: quello di promuovere la cultura cooperativa riproducendo la struttura, il governo e il funzionamento di un’impresa cooperativa in classe, e quello di sviluppare competenze trasversali di cittadinanza attiva, democrazia partecipata e lavoro in team. “Lavorare con i ragazzi – ha detto Giuliani dopo aver dato parola a tre studenti di seconda e terza media che hanno raccontato quali sono stati per loro i punti di forza dell’esperienza di Acs – dà un’energia generativa e dà senso a quello che stiamo facendo, perché la trasmissione dei saperi è reciproca. È un modo per mettere in pratica quel patto intergenerazionale che è uno dei pilastri fondanti della cooperazione”.

Un’altra buona pratica presentata è quella del progetto Mentore, della Fondazione Trentina per il Volontariato sociale, raccontato dalla psicologa Sandra De Carli. Il progetto prevede di far trascorrere bambini e bambine con difficoltà un’ora a settimana a giocare con un mentore, cioè un volontario non professionista (non educatore, non psicologo, non insegnante) per creare relazioni positive, interagendo attraverso il gioco e la leggerezza. “Ogni incontro è una tela bianca su cui dipingere partendo da zero – ha spiegato De Carli – in cui il bambino ha la possibilità di riconoscere il suo mondo interno”.

Anche lo sport può avere un ruolo decisivo per aiutare ragazzi e ragazze a crescere bene. Così la pensa anche Giuseppe Di Marzo, Ceo di Sant’Anastasia, un’esperienza in provincia di Napoli partita da un gruppo di amici che proprio grazie allo sport sono riusciti a stare lontano da tentazioni pericolose, con la sistemazione di un campetto da calcio e la sua apertura al territorio. “L’avvio del progetto è stato quello dei principi dell’oratorio: fai la partita se ti alleni e se vai a scuola – ha detto Di Marzo –. Ma da questa scintilla nel tempo si è creata una comunità educante che coinvolge molte associazioni e fondazioni, con l’obiettivo di orientare i ragazzi nella scelta del loro futuro”.

Grande attenzione anche per il progetto Inclusi, presentato dalla psicoterapeuta Pamela Cristalli, che parte dai ragazzi di terza media per aiutarli a orientarsi nelle scelte future, con particolare attenzione alle fragilità. Un percorso che si propone di essere un ponte tra famiglia e scuola. E per quando la scuola non può permettersi di essere inclusiva, ecco in aiuto un’idea presentata da Guglielmo Apolloni, design thinker e co-fondatore della piattaforma School Rraising. Lo strumento serve per raccogliere fondi da destinare al finanziamento di progetti scolastici, offrendo ricompense ai donatori (per esempio la possibilità di utilizzare il laboratorio realizzato o di partecipare ad un corso…) e rendendo possibili sogni e progetti altrimenti non realizzabili.

EDUCA è promosso dalla Provincia autonoma di Trento, l’Università degli studi di Trento e il Comune di Rovereto, organizzato da Consolida con il supporto scientifico di Fondazione Bruno Kessler, Fondazione Demarchi e Iprase e il sostegno di Federazione trentina della Cooperazione e delle Casse Rurali Trentine. 

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